Questo racconto è stato presentato al concorso letterario “Racconto la mia cura” indetto dall’A.S.O. di Alessandria nel 2016.

Le motivazioni di tale iniziativa sono illustrate nell’articolo allegato in calce.

Come altri elaborati, ha suscitato interesse e, in qualche modo, anche commozione, in quanto sono stati mossi ricordi e sentimenti molto personali che hanno consentito di testimoniare un avvenimento particolarmente doloroso che mi ha colpito improvvisamente.

Questo meccanismo di approfondimento ha determinato un approccio in qualche modo terapeutico, che si è potuto realizzare con l’elaborazione della propria esperienza, andando a toccare aspetti magari sopiti ma comunque determinanti.

Per questo mi permetto di sottoporlo anche a Voi, pensando che forse qualcuno potrà riconoscersi.

Dovete naturalmente scusare eventuali errori calligrafici e di forma. Ormai, fanno parte di me anche questi…

RACCONTO LA MIA CURA
Oggi è lunedì, ma per fortuna l’autobus che mi porterà in ospedale è in orario e ho pure trovato un posto a sedere, così potrò pensare con comodo. Pensando al lavoro sono soddisfatta poiché sono di ritorno da un corso tutto in inglese tenutosi a Roseto degli Abruzzi sulle associazioni di antibiotici, materia che, come tecnico di Microbiologia da 37 anni, “mastico” tutti giorni, in modo particolare dal 2002 da quando mi occupo di Epidemiologia sotto la guida del mio responsabile.
Il giorno dopo, martedì 15 aprile 2014, mi è venuto un ictus.
Ora scrivo seduta su una sedia a rotelle con la mano sx perché è stata colpita tutta la parte dx del corpo, compresa la deglutizione, per cui sono portatrice di PEG e mio marito mi prepara tutti i santi giorni la sacca di pappa con cui mi nutro.
La stagione peggiore è l’estate con il caldo, perché non posso bere. Mi manca molto il refrigerio che mi darebbe quel fresco liquido scendendomi in gola, ma non posso, anche perché la fantomatica e minacciosa ab ingestis è sempre in agguato.
Il mattino di quel giorno, con l’ambulanza chiamata da mia figlia Elena, sono stata portata al pronto soccorso dove, dopo vari accertamenti, sono stata trasferita in Neurologia in Unità Stroke. Qui, grazie alla loro tempestività e bravura, mi hanno ripresa per un pelo e riportata in vita. Ero immobile nel letto e ci vedevo doppio da entrambe gli occhi ma, con la presenza continua di Michele e degli altri miei Cari, e la competenza e perseveranza di tutto il personale del reparto, non solo sono sopravvissuta ma poi sono stata trasferita al Borsalino.
In Neuro, dove mi hanno fatto anche una broncoscopia, ho avuto la prima infezione del catetere venoso centrale con una sepsi dovuta allo Streptococco beta-gruppo B e poi al
Borsalino la seconda sepsi dovuta ad uno Stafilococco Aureo MRSA. Ovviamente i cateteri sono stati rimossi e ho fatto la relativa terapia con mille difficoltà, infatti, solo per l’ultima flebo di Vancomicina, mi hanno bucata 22 volte di cui 5 nelle gambe e piedi.
In un momento la mia vita e quella della mia famiglia è stata, completamente e senza possibilità di ritorno, cambiata.
Dei primi tempi ho dei ricordi molto confusi, quasi dei flash, in cui Michele mi doveva sostenere sul letto o sulla carrozzella con un lenzuolo legato dietro perché, pur non stando dritta sul tronco, volevo sedermi.
Al Borsalino dopo un po’ di terapie, ho cominciato a frequentare la palestra.
I primi tempi ci andavo per far piacere agli altri, io non ero consapevole di niente; della terapia, della ginnastica agli arti, del tempo che passava, della mia vita. C’erano come delle figure che si muovevano intorno, ci tenevano e si prendevano cura di me mentre io, ero senza passato ma soprattutto senza futuro…e pensavo che quella sarebbe stata per sempre la mia vita. Poi un giorno ho capito che quello era un centro riabilitativo, cioè un ospedale e che, con un po’ di miglioramento, sarei uscita per tornare a Casa.
Così, sempre con l’aiuto, le competenze, ma soprattutto l’umanità ed il rispetto di tutto il personale che ho incontrato al Borsalino, ho cominciato a lavorare anche per me.
Mi ricordo che durante l’allestimento di una festa del Borsalino, Marisa, la fisioterapista che allora si occupava di me, ha detto a tutti i pazienti che potevano contribuire con un’idea. Io ho proposto uno specchio coperto da un drappo con sotto la scritta “possibile paziente del Borsalino”. La mia idea non è stata accettata perché mandava un messaggio
troppo forte… io non credo che le persone comuni siano veramente consapevoli di quello che si prova.
Per noi, definiti diversamente abili, alcune persone possono provare dell’empatia ma, non sanno veramente cosa vuol dire non avere la possibilità di svolgere nemmeno le funzioni che sembrano le più banali come bere, mangiare, lavarsi i denti, andare in bagno, tirarsi su e giù la biancheria intima, andare a letto, alzarsi quando si vuole…
Ora sono stata dimessa e frequento il Borsalino da esterna e ringrazio che ci siano persone come Silvia, Arianna, Michela, Betty, Gabriele, Luisa, Alessandra, Letizia, Tina e tutti gli altri che mettono ogni giorno a disposizione le loro conoscenze e la loro umanità per persone come me.
Per loro le parole “non ce la faccio” non esistono e a qualsiasi cosa mi può ostacolare si industriano per trovare una soluzione.
Oltre la palestra frequento molto volentieri la cucina domotica ideata su nostra misura. Il preparare con l’aiuto e la guida di Silvia, ma soprattutto con le mie possibilità, i vari piatti mi avvicina ad una vita normale e mi fa sentire di nuovo utile.
Al Borsalino c’è anche un orto con una piccola costruzione gestito dai pazienti con l’aiuto e la supervisione delle fisioterapiste e della logopedista Alessandra.
Qui i pazienti nonostante le disabilità trattano semi e piantano i vari ortaggi che poi curano imparando tante cose, tra cui il concetto di tempo o di stagione.
Tutto questo per me ha un’importanza estrema perché mi aiuta a superare la disabilità che mi ha colpito e ho modo di confrontarmi con persone che hanno i miei stessi limiti anche se a volte è molto molto molto dura ammetterli.
Mi rendo conto che i responsabili delle Strutture avranno sicuramente delle difficoltà di origine organizzativo, economico e burocratico, ma devono essere supportati adeguatamente perché l’impegno che portano avanti per noi,
persone anche se diversamente abili, è immenso e noi non abbiamo prezzo ma solo tanta buona volontà.
Con questo scritto voglio ringraziare tutte le Persone che mi sono state vicino in un momento così difficile della mia vita.
Nadia Savoldi